PICCOLA RIEVOCAZIONE DI ALCUNE TRADIZIONI PONZESI DEL GIORNO DEI MORTI
Il 2 novembre si celebra il giorno dei morti che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei defunti. Una ricorrenza molto sentita che vede il ritorno sull’isola di molti ponzesi per portare fiori e lumini ai parenti ed amici scomparsi. Ma è anche un’occasione – incontrando vecchi amici – di ricordare quelli che non ci sono più e rievocare le nostre tradizioni. Come quella del mattino del 2 novembre quando noi bambini – convinti che nella notte i nostri defunti uscissero dalle tombe per portare doni ai bambini buoni che avevano pregato per le loro anime – iniziavamo per tutta casa la gioiosa ricerca dei dolciumi portati dai nostri cari trapassati.
“Che t’hanno purtato i muort?” Era la prima domanda che i ragazzi si scambiavano il primo giorno di scuola dopo il 2 Novembre“ Fiche secche e mustarde” con qualche variante che comprendeva un modesto numero Mennule ,Castagn e cose del genere, era la risposta della maggioranza dei ragazzi.
“Caramell, gi-gomm e piripicchi”, era invece la risposta meno gettonata, ma anche quella che suscitava una malcelata invidia generale.
Nel primo caso si trattava di bambini i cui morti– sia chill da mamma che chill du padre – stavano ‘ncoppa a Madonna e non avevano parenti o particolari collegamenti oltre lo Scoglio Rosso.
Il secondo gruppetto, a cui appartenevo, era invece quello i cui muort avevano parenti o qualche sorta di collegamento con gli States.
Quel che chiamavamo gi-gomm non era altro che la storpiatura dell’americanissimo chewing gum. All’appellativo di piripicchio invece corrispondeva un cioccolattino a forma conica avvolto in una carta argentata dalla quale usciva una strisciolina di carta con la scritta Hershey.’s kiss, che poi era il nome americano con il quale sono ancora oggi conosciuti questa sorta di Baci Parugina in salsa Yankee.
foto Hershey’s Kiss: Emily Camilo
Ricordo che quelli che mi portavano i miei muort avevano un fortissimo odore di naftalina che all’epoca non mi spiegavo – anzi mi sembrava una prova della provenienza diciamo extra terrena – e che era invece semplicemente dovuto al fatto che la nonna conservava e nascondeva queste ‘leccornie’ nella cassa della biancheria – dove la naftalina abbondava – protetta da una robusta serratura a prova di scasso.
Un altro ricordo vivido è quello che il giorno dei morti – non so perchè – si mangiavano le fave lesse. Questo a cena, perchè il pranzo si saltava in quanto si restava al cimitero fino alle 17 quando suonava la campanella e,dopo la benedizione finale, il cimitero chiudeva.
Sempre a proposito di pranzo, a casa mia, la sera del 1° novembre era usanza di lasciare la tavola apparecchiata. “Perchè i morti in questa notte girano per il paese e tornano nelle loro case e bisogna accoglierli bene” – diceva la nonna.
Io ci credevo e voglio crederci ancora.
Franco Schiano