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PUNTI DI VISTA - Racconto di Rita Bosso - Parte II - Ass. Cala Felci

PUNTI DI VISTA – Racconto di Rita Bosso – Parte II

TRATTO DAL LIBRO ” RACCONTI DEL PORTO”

PUNTI DI VISTA – Racconto di Rita Bosso – Parte II

-Ma dove vuole arrivare? Cosa vuole insinuare? urlò dopo un po’.
-Statti zitta!- ordinò Biagio il poeta.
-Se non le piace vada via, c’è tanta gente in piedi- aggiunse una donna.
La Paglia proseguì imperturbabile.
-La cosiddetta parte non portuale del porto ingloba i nove decimi del costruito. Nei documenti dell’epoca si fa riferimento sempre alla costruzione di un porto, si specificano le risorse assegnate, i tempi, i progettisti e gli esecutori della costruzione del porto però … i nove decimi del costruito sono tutt’altro che porto. E la quasi totalità di coloro che beneficeranno di quanto si va ad edificare non sono gli abitanti dell’isola. Agli abitanti, ben che vada, saranno assegnati alcuni dei magazzini del primo livello affinché possano ricoverarvi barche ed attrezzature.
Anna Baldi continuava a torcersi sulla sedia e a digitare messaggini.

-Questo grande quartiere viene dotato di infrastrutture atte a garantire uno sviluppo ordinato, razionale, civile secondo i principi dell’Illuminismo. La parte non portuale del porto include spedali che oggi definiremmo infermerie, un orfanatrofio, insomma strutture di tipo assistenziale. A seguire, troviamo il Nuovo Casamento, ovvero gli uffici amministrativi. Ancora oltre, la Chiesa, in posizione un po’ defilata, in modo da rimarcare il principio illuministico della separazione dei poteri. Alle spalle del Nuovo Casamento si colloca il campo militare. Una rampa cordonata conduce finalmente al molo. All’inizio del molo, un’ampia area destinata a magazzini. Ricorderete che la popolazione autoctona è autosufficiente, non importa né esporta, i campicelli e la pesca danno il necessario per la sopravvivenza. Dunque, anche i magazzini sono pensati in funzione di fruitori diversi dagli autoctoni.
-Basta! Siamo qui per assistere a una comunicazione di storia del Settecento e lei, chiaramente, sta parlando d’altro! Le ricordo che questo spazio le è stato messo a disposizione dall’amministrazione comunale che mi onoro di rappresentare. Le ricordo altresì che l’organizzazione di questa serata è a carico del Comune. La invito pertanto a sviluppare il tema concordato evitando allusioni e riferimenti.- La voce di Anna Baldi tremava.
Dal pubblico provennero un invito a stare zitta e due inviti ad andarsene, un “Arretirati” e un sussurrato “Vattenne, pereta”.
Via via che il puntatore laser si soffermava su alcuni punti dell’edificio borbonico, la Paglia spiegava:
La Casina del Governatore, sul molo, dotata di un giardino sul mare. Il muro che lo delimitava è tuttora in piedi. Il Governatore era una sorta di amministratore-magistrato competente per le questioni civilistiche. La casa del Chirurgo militare, nei pressi della chiesa: sull’isola c’era infatti un presidio militare. La casa del Comandante del campo militare. Questa che vi sto indicando potrebbe essere la casa del Fiscale; ha due accessi, uno dal corso e l’altro a livello del mare; i due livelli sono tuttora collegati da un passaggio interno. La casa del Fiscale è esattamente al centro della parte non portuale del porto; guardate bene, l’edificio si sviluppa simmetricamente rispetto alla casa del Fiscale, con due ali leggermente avanzate. Dalla sua posizione strategica il Fiscale controlla le merci che entrano e che escono dai magazzini, esige i dazi, impone i tributi alle imbarcazioni che ormeggiano in porto. La Casa del Fiscale oggi è chiusa da un pesante cancello di ferro; dobbiamo alla cortesia dell’attuale proprietaria queste foto che ci mostrano il cortile d’ingresso, la rampa, le grotte retrostanti; immagino che nelle grotte il Fiscale tenesse un cavallo o un asino, un piccolo calessino … doveva percorrere le banchine più volte al giorno, andare da un capo all’altro del porto, da una barca all’altra. Guardatela bene: un ingresso appena più ampio e più alto degli altri, con il suo bell’arco centinato … nulla che risalti, il Fiscale dopotutto è un funzionario, non un nobile o un castellano. Ma la sua abitazione è proprio al centro dell’edificio, ne è il cuore e, in qualche modo, ne racchiude il senso. Lo Stato moderno ha bisogno di tasse; non delle gabelle, badate bene, ma di tasse. Torneremo su questo punto domani.
I magazzini, un ufficio per l’esazione dei dazi in posizione privilegiata … L’isola si accinge a diventare un luogo in cui devono transitare merci, un luogo in cui si commercia e, conseguentemente, si impongono dazi, si esigono tributi. È un luogo dove si produce e circola ricchezza, ma una ricchezza dinamica, che corre verso chi sa intercettarla, che non ristagna nelle mani di una nobiltà arretrata e parassita, in forza di antichi privilegi che oramai nessuno è più disposto ad accettare.
-Bastaaaa!Anna Baldi gridò isterica. Lei sta strumentalizzando. Ha richiesto per due serate questo luogo pubblico per tenere una relazione di storia, non per dare una lettura di parte delle scelte dell’amministrazione che rappresento. Microfoni, luci, allestimento sono pagati con i soldi dei contribuenti. Tenga la sua lezione di storia, rispetti il programma! Altrimenti …
-Altrimenti cosa? scandì una turista dall’accento torinese.
– Altrimenti dobbiamo riconsiderare l’assegnazione di spazi pubblici e di impianti pagati con fondi pubblici- rispose la Baldi.
-Appunto: pubblici. Il  Lanternino non è di sua proprietà, assessore. E i fondi con cui si noleggiano microfoni e luci non escono dalla sua tasca. Eviti altre interruzioni, per cortesia – la voce della turista si perse in un lungo applauso.
-Te-ne-to-la-co-ta-ti-pa-glia- sillabò nel buio la voce impastata di Biagino il poeta.
La Baldi si ritirò in buon ordine; Roberta Paglia proiettò qualche altra diapositiva.
-Vorrei lasciare spazio ai vostri interventi, adesso. Vi anticipo brevemente i temi che tratterò domani. Vi parlerò delle condizioni di estrema arretratezza del regno di Napoli nella prima metà del Settecento; vi parlerò dell’azione innovatrice intrapresa da Carlo di Borbone e dal suo ministro Bernardo Tanucci, delle riforme che attuarono e di quelle che avrebbero voluto attuare. E svilupperò la mia tesi: resisi conto delle difficoltà a traghettare il regno verso la modernità, il re e il suo ministro decidono che il cambiamento partirà dalle periferie. Ponza, Ventotene, Ustica sono al riparo dallo strapotere di nobili e clero. Esse possono costituire un modello di sviluppo. In questi luoghi si incentiva l’insediamento di un ceto borghese che commercia, che produce, che paga le tasse. Il cambiamento parte dalle periferie e dovrebbe diffondersi a macchia d’olio fino alla capitale. Per questa nascente borghesia si costruiscono le case e gli ambienti di lavoro. Ecco, di questo parleremo domani sera. Ed ora cedo il microfono al sindaco che ci ha appena raggiunti.

Il Sindaco era arrivato di corsa, evidentemente allertato dai messaggini dell’assessora. Afferrò il microfono e ordinò che fossero accese le luci.
-Neanche per idea. Il buio è rilassante e a noi del pubblico sta bene così- replicò la torinese.
Qualche settimana prima, a un incontro con un gruppo di ambientalisti, il sindaco s’era presentato col telefonino in mano e aveva fotografato i partecipanti uno a uno.
Parò basso.
-Un porto è uno straordinario volano di sviluppo economico, culturale, sociale. Per questo motivo la realizzazione del porto turistico è uno dei punti di maggior rilievo del nostro programma amministrativo. Lo costruiremo nella parte più depressa e svantaggiata dell’isola affinché essa decolli, finalmente. Abbiamo messo in conto resistenze, campagne disinformative e populiste. Sono inevitabili, quando si toccano interessi cospicui e consolidati.
-Sindaco, avete sbagliato porto. Stavamo parlando del porto costruito tre secoli fa; del vostro parleremo tra tre secoli, se tutto va bene- disse Biagio il poeta con tono conciliante e poi, sollevando la bottiglia:
– Alla salute del porto borbonico e alla nostra.
– A tutti noi, Biagio. Sarà un porto a servizio degli isolani prima di tutto. Abbiamo previsto un centinaio di posti barca per i residenti.
– Sì, ma li avete situati oltre la scogliera- commentò uno, serafico.
– E realizzeremo opere edilizie imponenti: resort, centro congressi, cantieri, aree commerciali.
– In zone vincolate, dove non si potrebbe mettere una sola pietra– continuò l’altro.
– Daremo occupazione a centinaia di nostri concittadini.
– Posti di lavoro assegnati per merito, come è stato per i vigili urbani- brontolò un’altra voce dal buio.
– Fateci vedere i progetti – propose un ragazzo con voce emozionata. I progetti: misteriosi, chiusi in qualche cassetto, esibiti durante le conferenze di servizi in regione, al ministero, a cui partecipavano sindaco ed assessori, a cui nessuna associazione locale aveva mai avuto accesso; il giorno dopo il sindaco infilava i progetti nel suo cassetto, emetteva un comunicato trionfalistico e dava appuntamento alla conferenza successiva.
-L’affermazione che il porto sia un paravento per edificare laddove non si potrebbe è falsa, tendenziosa, un teorema costruito dai soliti movimenti ambientalisti.
-Teneto la cota di paglia, Sindaco- sentenziò Biagio.
-Excusatio non petita … – cantilenò il professore.
-Teneto la cota di pagliarella, Sindaco. Senza offesa per Robertina nostra – rimarcò Biagio.
Sotto la sua sedia erano allineate le bottiglie di birra vuote.
Il Sindaco e l’assessora si dileguarono.
Uno degli ultimi a lasciare la piazzola del Lanternino fu Biagino il poeta; poi fu la volta delle parole. Avevano danzato libere, al buio, dopo mesi in cui erano state sussurrate a mezza bocca, scritte sui social da profili anonimi, affogate nella paura di ritorsioni; per alcuni minuti volarono nella notte, barchette di carta temerarie, desiderose di prendere il largo, poi si inabissarono nell’acqua calma del porto.

Rita Bosso

fine

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