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IL GABBIANO D’ARGENTO di Raffaele Zocchi - Ass. Cala Felci

IL GABBIANO D’ARGENTO di Raffaele Zocchi

Il rollio della nave, i gabbiani che incrociavano la spuma bianca della scia, l’odore della salsedine misto a quello acre dei fumaioli erano gli stessi: eppure a Mario, appoggiato al parapetto del battello, questi suoni immagini odori apparivano affatto diversi da quelli consueti, che lo avevano accompagnato in altri viaggi sullo stesso percorso.
Per l’ennesima volta si pentì d’essersi imbarcato: ma che cosa poteva fare? Lanciarsi in acqua e nuotare come un disperato verso la riva, oppure lasciarsi andare all’abbraccio dell’acqua salata e lasciarsene sommergere? Era la stessa acqua, lo stesso mare che aveva lambito, sei mesi prima, il corpo senza vita di Elena, era la stessa acqua che aveva visto nascere e svilupparsi il loro amore.
Il loro legame, libero ed intenso, sarebbe stato inconcepibile senza il sostrato del mare, senza il profumo di salsedine e di ginestre, senza il sapore di triglie arrosto e di bianco, asprigno vino, senza le immagini dell’aspra natura pietrosa dell’isola.
Anche lo sbarco a Eleuta fu vissuto da Mario come un sogno ovattato: no, non avrebbe dovuto tornarvi! Eppure era necessario, bisognava, con questo atto liberatorio, spazzare via lo stato d’animo nel quale aveva vissuto gli ultimi sei mesi.
Non c’era molta gente sul molo: qualche operaio che aspettava materiale edile, qualche locale che aspettava parenti, qualche curioso; era sempre così, d’inverno, Eleuta era frequentata solo da qualche raro turista in cerca di pace, da qualche esemplare della specie in via d’estinzione dei naturalisti, da qualche coppia clandestina in cerca d’un rifugio.
No, loro non erano stati una coppia clandestina: erano liberi da impegni. Si erano conosciuti in una di quelle sere d’estate in cui la mancanza di vento ed il caldo afoso mescolano il cielo ed il mare in un’umida bambagia. Non si può dire che tra di loro vi fosse stato un colpo di fulmine, anzi i primi incontri si caratterizzarono per una formale indifferenza. Erano entrambi reduci da storie sentimentali appena terminate ed erano poco propensi a rimettersi in gioco. Forse fu proprio per questo che fin dal principio stabilirono il mutuo accordo di non permettere alla quotidianità di prendere il sopravvento sui sentimenti.
Ognuno aveva la sua vita: lui, agente di borsa, ben avviato su d’una via di successo, lei disegnatrice di moda in un atelier sufficientemente famoso, ognuno con i suoi impegni, si vedevano quasi tutti i fine settimana. Abitavano anche alquanto distanti: lui in un monolocale da scapolo in un centro residenziale, lei in una mansarda in un palazzo storico del centro antico. Talvolta s’incontravano in città; più frequentemente andavano, o, meglio, fuggivano a Eleuta, dove Mario aveva acquistato un appartamentino, due camere, bagno e cucina, in un vicoletto attorcigliato attorno al porto. Proprio mentre si avviava al suo appartamento, Mario incrociò il maresciallo dei carabinieri che lo aveva perseguitato con le sue domande durante le indagini, fino a che il suo alibi era apparso inattaccabile: ben tre persone erano in barca con lui nelle ore corrispondenti al decesso di Elena. Era un tipo alto e allampanato, dal naso aquilino e dai radi capelli biondastri che spuntavano da sotto il berretto. Parlava lentamente, pesando le parole; si avvertiva nelle inflessioni friulane l’atavico senso del dovere e dell’obbedienza insito nei suoi geni austroungarici.
“ Buonasera, sig. De Luise. Come va? Pensavamo che non sarebbe più venuto a Eleuta!”
“ Buonasera maresciallo. Mi sono molto impegnato nel lavoro negli ultimi mesi…. Non dovevo venirci neanche oggi. Posso farle io una domanda? A che punto siete arrivati? Suicidio? Omicidio? Che cosa avete deciso? Archivierete il caso?”
“ Veramente non posso risponderle: ad ogni modo sappia che non ci sono stati nuovi elementi decisivi rispetto a sei mesi fa. Lei sa che l’autopsia ha rilevato una tossicodipendenza, vero? Bene, anche nel giro non è saltato fuori niente di significativo. A breve prenderemo una decisione. Buonasera”
Già, la droga, l’eroina: la cosa più incomprensibile non era il fatto che lei la usasse, quanto che lui per tre anni non se ne fosse accorto!
L’arrivo a casa coincise con un’imprecazione, alla vista dell’acqua che tracimava dalla grondaia del terrazzino, anche se quel giorno non pioveva. Il terrazzino, infatti, era allagato, essendo tappato il foro di scarico della grondaia. Continuando ad imprecare Mario ripulì il foro aiutandosi con una piccola paletta. Un baluginio improvviso lo incuriosì e tirò fuori dalla melma uno strano oggetto metallico, alquanto pesante. Dopo averlo ripulito, lo osservò bene: poteva essere un ciondolo, sembrava d’argento laccato, raffigurava uno strano uccello, con le zampe ed il becco giallo, le ali variegate e gli occhi ottenuti con due minuscole pietruzze verdi.
Come era finito sul suo terrazzino quello strano oggetto? Come era sfuggito ai controlli che erano stati fatti per intere giornate dai carabinieri?
Questi pensieri gli fecero rivivere quei giorni grevi, da incubo: gli interrogatori, i carabinieri, il magistrato, i giornalisti e, soprattutto, il corpo di Elena inerte sugli scogli, in fondo allo strapiombo di cala Conocchie.
Si era sentito svuotato, straniato in un mondo che aveva perso tutti i suoi cardini per averne perso uno solo. Proprio nelle settimane precedenti avevano rimesso in discussione il loro patto iniziale ed avevano deciso di convivere, per cui si erano anche messi alla ricerca di un’abitazione. Era stata soprattutto lei a spingere in quella direzione e, dopo la sua morte, dopo l’autopsia, gli erano apparsi chiari i motivi: stava cercando il suo aiuto, il suo appoggio per uscire dal circolo in cui si trovava.
Quando uscì per andare a cenare alla sua solita trattoria era quasi notte: i rari passanti infreddoliti lo scrutavano, qualcuno lo salutava. Quando passò davanti alla pensione Casina Rossa per poco non si scontrò con una biondina alta e magra che ne usciva quasi di corsa. La riconobbe subito e la sua memoria fotografica la collegò con una pagina di giornale, dove risaltava il titolo
“Eleuta: precipita sulla scogliera giovane donna. Suicidio o omicidio? Sospettato il fidanzato, agente di cambio” dal nostro inviato Chiara Leonardi.
Seguivano una foto d’Elena, una sua foto e poi il testo, su due colonne. Ogni volta che lo rileggeva, provava sempre lo stesso impulsivo desiderio di prendere a schiaffi l’autrice, per il cumulo di inesattezze ed illazioni che conteneva. Ne aveva scritti molti altri, la biondina, sull’avvenimento, fino a che questo aveva suscitato interesse. Aveva persino avuto il coraggio d’intervistarlo, rischiando di sperimentare l’attuazione del desiderio di cui sopra. Ma poi, alla fine dell’intervista si erano lasciati, se non in buoni rapporti, almeno senza astio residuo.
L’esito del fortuito incontro fu che si recarono insieme in trattoria, dove furono accolti con aspri rimbrotti dall’oste, un omone grande e grosso, che era solito trattare i clienti con modi alquanto rudi, ma che poi, alla fine, era sempre disponibile. Infatti, anche quella sera, dopo l’antipasto di improperi per l’ora tarda, tirò fuori dalla cucina un ottimo piatto di spaghetti a vongole e del pesce arrosto.Durante la cena la conversazione scivolò inevitabilmente sul passato: la giornalista affermò di essere venuta sull’isola per vedere se vi erano stati sviluppi nelle indagini, ma era rimasta delusa. Niente era stato trovato nella vita di Elena, a parte l’uso moderato di stupefacenti,che potesse giustificare un suicidio. D’altra parte, non era stato individuato nessuno, nella cerchia di amici e parenti, che potesse avere una parvenza di movente. Oltre che su di Mario, erano state svolte indagini sull’unico fratello d’Elena, che esercitava la professione di pediatra a 500 km di distanza. Le occasioni di incontro con la sorella erano molto rare: gli affari di famiglia erano stati sistemati da alcuni anni, dopo la morte dei genitori. Altre indagini, fatte nel giro di conoscenze d’Elena, non avevano evidenziato, oltre al problema della droga, alcunché di notevole. Tutto questo Mario già lo sapeva, mentre lo colpì un’affermazione di Chiara, quasi un inciso, che faceva cenno ad una relazione lesbica d’Elena con una tale Valeria. Come era mai possibile che non si fosse accorto neanche di questo? Mario cominciò a nutrire seri dubbi sulle sue capacità di comprensione: o forse era il suo eccesso di narcisismo che lo portava a considerare solo ciò che lo riguardava?
Rientrato in casa, le parole di Chiara continuarono a frullargli in testa. Prese in mano il gabbiano d’argento e lo osservò con una piccola lente, riuscendo a decifrare la scritta minuscola in un angolo di un ala: Silver plated – Made in China. Si ricordò allora d’una busta con alcune foto che aveva conservato in un angolo dell’armadio: febbrilmente l’aprì e incominciò a sfogliare le foto.
Ad un tratto capì tutto.
Due giorni dopo la pagina di cronaca della Gazzetta riportava un articolo dal titolo
“Giallo di Eleuta: dopo sei mesi arrestata una modella lesbica. Il fidanzato dell’uccisa fornisce la chiave del delitto.” di Chiara Leonardi
“Un gabbiano d’argento ha tradito Valeria M., fotomodella, arrestata ieri sotto l’accusa di avere assassinato sei mesi fa Elena G.,nell’isola di Eleuta. La giovane donna fu trovata morta sugli scogli tufacei di cala Conocchie: in tutto questo tempo gli inquirenti non erano riusciti a trovare alcun indizio valido, che facesse propendere per la tesi dell’assassinio o per quella del suicidio. Subito dopo la scoperta, il principale indagato era stato Mario D., un agente di cambio che aveva una relazione sentimentale con la giovane donna, ma fu presto chiaro che egli aveva un alibi di ferro. E’ stato proprio l’agente di cambio che ha fornito ai carabinieri la pista giusta. Tutto è cominciato con il ritrovamento causale nella sua casa di Eleuta d’un gabbiano d’argento laccato di fabbricazione cinese: faceva parte di una combinazione di gioielli artigianale che Valeria aveva acquistato durante un viaggio in Cina. Tra le due donne da molti anni esisteva un forte legame sentimentale, che l’arrivo di Mario aveva scombussolato. La decisione dei due giovani di convivere sembra aver scatenato la gelosia della fotomodella. Il ciondolo cinese appariva al collo della ragazza in una foto che li ritraeva in gruppo. Ma la prova decisiva è stata la confessione di Valeria, nel corso d’un drammatico incontro con Mario, che l’aveva provocata al punto di farle perdere il controllo. I carabinieri, che erano d’accordo con Mario, sono intervenuti giusto in tempo per evitare un nuovo assassinio. Delitto passionale, quindi, non suicidio, come i più avevano pensato, e neppure morte accidentale a causa delle tracce d’eroina trovate nel sangue della donna. Resta da chiarire la dinamica del fatto: essendo avvenuto senza testimoni, solo Valeria può ricostruirla.”
Mario lasciò il giornale sul tavolino del “ Caffè Italia” nella piazza principale di Eleuta e si avviò lentamente verso l’imbarco: aveva venduto l’appartamentino vicino al porto e si apprestava a compiere forse l’ultimo viaggio su quel battello.
Il rollio della nave, i gabbiani che incrociavano la spuma bianca della scia, l’odore della salsedine misto a quello acre dei fumaioli erano gli stessi: era certamente Mario ad essere diverso.

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