di Rita Bosso
Procida nei ricordi di Aniello Montella
Tanti anni fa, tanti capelli fa, Aniello Montella trascorreva i pomeriggi giù alla Corricella insieme ai compagni, tirando calci a un pallone. Le dimensioni dell’isola, il dialetto, la vicinanza di tanti compaesani, la calda accoglienza dei procidani lo facevano sentire a casa. Alloggiava alla pensione Eldorado che, dal 1965, accolse tanti studenti ponzesi; qualche anno prima, nel 1955, in quelle stanze avevano vissuto Elsa Morante e Alberto Moravia; lì aveva preso forma il romanzo L’isola di Arturo.
“Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali”: così Arturo descrive Procida. La rigogliosità dei giardini procidani era apprezzata anche dai ragazzi di Ponza che, prima di tornare all’isola natìa, non mancavano di fare provvista dei rinomati limoni.
I fratelli Montella, Aniello e Silverio, sapevano da sempre che avrebbero imparato ad andare per mare, seguendo la strada tracciata dal padre Antonino; si iscrissero all’Istituto Professionale per le Attività Marinare di Procida, alla fine del triennio sostennero l’esame integrativo per accedere all’Istituto Nautico, dopo due anni si diplomarono.
Antonino era tornato dalla guerra col grado di sergente e il progetto di dedicarsi alla navigazione; la domanda di ferma in Marina non andò a buon fine, lui studiò da autodidatta, prese la patente di padrone marittimo, cominciò a girare il mondo come comandante di bastimenti. “Quando io sono nato, nel 1957, lui era in India”, Aniello ricorda. La vita del navigante è fatta anche di questo: non veder nascere un figlio, conoscerlo quando ha già qualche mese, risultargli estraneo, ripartire quando il rapporto comincia ad instaurarsi. In compenso, arrivano le soddisfazioni professionali; l’offerta di posti di lavoro è alta, gli stipendi sono considerevoli, si gira il mondo.
All’inizio degli anni Ottanta Aniello, fresco di diploma, si affaccia sul mercato del lavoro. Il primo imbarco è su una nave che trasporta legname dal Mar Nero all’Italia; Aniello sale a bordo nel porto di Palermo, la vecchia carretta sbatte sugli scogli nel Golfo di Bengasi, naufraga. L’equipaggio resta per oltre un mese in albergo, impegnato nei turni di guardia e nel disbrigo delle pratiche burocratiche; il 24 dicembre si riesce a tornare in Italia ma è tardi per raggiungere Ponza e fare Natale in famiglia.
Sebbene il battesimo professionale non sia stato dei più incoraggianti, Aniello non desiste; il nove gennaio è di nuovo a bordo di una nave da pesca, naviga lungo le coste africane per otto mesi.
Le vicende della vita lo portano prima a navigare sulle cisterne di Vecchiarelli, poi a rilevare una macelleria su corso Pisacane, infine a lavorare nel settore idrico del comune di Ponza; oggi è dipendente di Acqualatina. Per esperienza personale posso dire che un guasto o un problema appaiono meno gravi se sul posto arriva Aniello con la sua bontà, la sua pacatezza, la sua disponibilità.
Degli anni passati a Procida restano bei ricordi e il desiderio di rivedere i vecchi compagni. Ogni tanto qualcuno di loro approda a Ponza, da skipper o da diportista; giù al porto chiede notizie dei suoi vecchi compagni di studi, si attiva il tam tam, Aniello accorre.
Oggi, quando scende dalle sue terre sulla collina della Madonna e sosta sul belvedere della Parata, Aniello volge sempre uno sguardo oltre le Formiche: dietro si staglia il profilo di Ischia dove spesso trascorreva le domeniche, ospite di un cugino; Procida non è visibile perchè troppo bassa ma ci sta. E i suoi vicoli, la Corricella, la Terra Murata non possono aver dimenticato quei ragazzi vocianti e capelloni di quasi mezzo secolo fa.