La storia del Caffè Tripoli può raccontarla solo lui, Luigi Di Monaco, quarto e ultimo figlio dei fondatori.
Il nome del locale dà un’indicazione sulla data di apertura: la guerra di Libia scoppia nel 1911, determina l’annessione all’Italia di Cirenaica e Tripolitania, si conclude nel 1912; la campagna di Libia termina nel 1921.
Sono gli anni di Tripoli bel suol d’amore; Silverio Di Monaco e la moglie, Angelina Zinno, decidono di avviare un Caffè. Dotano il locale di arredo a chilometro zero: una zia, che vende scarpe a qualche metro di distanza, fornisce una scarpiera che servirà per l’esposizione di liquori; il fratello di Silverio, Giuseppe, che dirige la Banca Meridionale nelle stanze soprastanti il portone di Pascarella, cede il monumentale bancone del suo ufficio.
Il bancone del Tripoli, oggi al bar Winspeare
La posizione del Caffè Tripoli è strategica: sul lato corto del foro borbonico, all’inizio del corso Principe di Piemonte (già corso Farnese, oggi corso Pisacane).
Sebbene la concorrenza non manchi (c’è il caffè Amato all’altro lato della piazza e almeno un altro paio di osterie sotto i portici), il Tripoli diventa subito il centro della movida e non ha mai smesso di esserlo.
Il Caffè Tripoli in una foto del 1929
La foto che campeggia di fronte al bancone del bar è del 1929; allora come oggi, seduti ai tavolini del Tripoli si è, simultaneamente, attori e spettatori. Luigi Di Monaco indica uno ad uno i personaggi di uno spettacolo che, con poche irrilevanti varianti, va in scena ogni giorno da oltre un secolo.
Foto del 1929 (particolare lato sin.)
Il primo a sinistra, di spalle, con la camicia a righe, è mastu Paolo Laddomada, valente falegname con bottega a Giancos, accanto all’ex centrale elettrica. La partita a carte lo coinvolge totalmente, neanche si volta verso il fotografo.
In piedi, appoggiato alla porta, con cappello, c’è Pietro Corti.
Appoggiato allo stipite di sinistra è Alfredo Tricoli, padre del compianto Peppe Barone.
I due giovanotti con coppola bianca sono Totonno Aversano (dietro) e Nicuccio; tra una quarantina d’anni Totonno diventerà suocero di Luigi; Nicuccio è il marito di ‘Mmaculata, benvoluta da tutti anche se fa un “mestiere” particolare.
Il bambino con salopette bianca è Silverio Zecca (Zecchetiello) che sarà un grande campione di pesca subacquea.
Appoggiato allo stipite destro è Silverio Di Monaco, proprietario del Caffè.
Davanti, abbigliato da perfetto fascista, Gildo Colonna.
A destra, appoggiato alla porta in legno, la testa coperta da un basco scuro, c’è Nunzio Vecchione.
Foto del 1929 (particolare lato dx)
L’ultimo appoggiato alla porta, con coppola e canottiera, è Crescenzo Costanzo ‘u Matunaro.
L’uomo in tenuta bianca sportiva e occhialini è Silverio Mazzella Bancherrotta.
Alla sua sinistra, con una sciarpetta bianca, è seduto Ceccio ‘u Muto.
Chiudono la foto quattro bambini: il primo a sinistra è Salvatore Rispoli (padre di Biagio), l’ultimo è Giuseppe Costanzo Baffone.
La porta sulla sinistra, sormontata da finestra, immette nella stanza da letto della famiglia Di Monaco. “A San Silverio arrivavano i parenti da Napoli e io, che ero il più piccolo, dormivo sul biliardo” ricorda Luigi.
Angelina Di Monaco, ultima a destra, con alcuni clienti del caffè
Filomena Di Monaco detta Mamena
Nel 1941 muore Silverio Di Monaco, che ha avviato l’attività insieme alla moglie Angelina; la vedova deve quindi occuparsi della gestione del bar e dell’educazione dei quattro figli: Ciccillo, Peppino, Mamena, Luigi. Mamena affiancherà la madre nella conduzione del Caffè.
Luigi, nato nel 1937, ha qualche vago ricordo degli anni del confino e della guerra.
Ricorda Tito Zaniboni quando alloggiava a via Parata, subito dopo l’arrivo a Ponza nel 1942.
Ricorda quando la sirena dell’allarme, collocata nell’attuale capitaneria, squillava di notte e costringeva a raggiungere il rifugio (la cisterna della Parata di cui, ai giorni nostri, è stato fatto scempio).
Ricorda le angherie dei militi, che consumavano a sbafo e ordinavano di “mettere a nota” senza mai provvedere a saldare il conto.
“Dormivamo nella stanza a fianco del Caffè, dove ora c’è la galleria di sculture – ricorda Luigi – ma a San Silverio arrivavano i parenti da Napoli e io, che ero il più piccolo, andavo a dormire sul biliardo del bar.”
Il contatto prolungato col tappeto verde spiega i successi sportivi di Luigi: nel 1966 vince il primo (e unico) torneo di biliardo dell’isola di Ponza, a cui partecipano circa venti giovanotti di belle speranze. Mostra con orgoglio le foto della premiazione.
Tommasino De Luca, Mario Assenso, Luigi Di Monaco, Giuseppe Costanzo
Luigi Di Monaco, primo classificato, riceve la coppa da Cesare De Luca; al centro, Mario Iozzi
Luigi di Monaco, Cesare De Luca, Tommasino De Luca (secondo classificato)
Luigi Di Monaco, Umberto Prudente, Tommasino De Luca
Giuseppe De Luca scrive su Ponza Mia che Luigi, già re della bistecca, viene incoronato imperatore della stecca; Luigi gestisce infatti una grande macelleria su corso Pisacane, ereditata da uno zio.
– Ero giovane, avevo un buon lavoro, un sacco di amici … e chi ci pensava, a sposarsi? – ricorda.
Ma, sul finire degli anni Sessanta, Cupido scarica un’intera faretra di frecce sul Caffè Tripoli.
Mamena con Amedeo Guarino
La prima freccia colpisce Mamena: dolcissima, gentile, minuta, la voce ridotta a un sussurro, serenamente avviata allo zitellaggio. Luigi Conte, alias Luigi ’u Capitano o Luigi ’u Pitt’ è un omone alto e corpulento; più grande di lui è la sua voce e, ancora più grandi, immensi, sono il sorriso e lo sguardo.
La grafica di Giuliano Massari ha dilatato le dimensioni di lei ma è riuscita a rendere magnificamente l’ossimoro costituito dalla coppia Mamena – Luigi ’u Pitt’.
Luigi ‘u Pitt’ e Mamena ritratti da Giuliano Massari
Alla tenera età di 51 anni, dopo una vita trascorsa in mare, Luigi ’u Pitt decide dunque di sposarsi e sceglie Mamena; nel 1971 nasce Vincenzo, attuale proprietario del Bar Tripoli.
Luigi Conte ’u Pitt’ e il figlio Vincenzo
Siamo arrivati al 1970.
Il Caffè, conscio della sua posizione privilegiata (il lato corto del Foro, dove i Romani sistemavano il tempio) dà uno sguardo alla loggia del municipio, un altro al corso Pisacane e intanto tiene d’occhio ’u Capitano, l’omone che, dopo il matrimonio con Mamena, si è insediato dietro al bancone: è l’inizio di un rapporto duraturo e felice ma, all’epoca, né ’u Capitano né il Caffè sanno come andrà a finire; all’inizio, come in ogni storia, ci si studia, ci si misura.
Intorno i negozi vicini si rinnovano, i bar mettono tavolini e sedie colorate; il Caffè mantiene le sue solide porte in legno, le seggiole impagliate, il bancone proveniente dal Banco Meridionale… non è fuori moda, è semplicemente oltre le mode, come la regina Elisabetta.
Luigi ’u Capitano con l’attrice Michela Roc
Nel 1970 Luigi Di Monaco è il classico scapolo d’oro: bello, buon lavoro – la macelleria di corso Pisacane -, ottima famiglia, simpatico e brillante. Sinora ha goduto della posizione privilegiata di maschio di casa, servito e riverito da mamma e sorella. Luigi capisce che questo capitolo della sua vita si è oramai concluso, che deve aprirne un altro; sceglie di farlo con Maria Paola e, a distanza di cinquant’anni, dice che non avrebbe potuto fare scelta migliore.
da sin: Giovanni D’Arco, Benito Costanzo, Luigi Di Monaco, Alessandro Curcio, Tommasino De Luca
Oggi, nella sua bella casa che domina il porto, Luigi Di Monaco fornisce le tessere per comporre il mosaico dell’isola nei primi decenni del Novecento.
Anche allora la clientela del Tripoli era eterogenea (ma esclusivamente maschile); altrove vigevano rigide divisioni: i lavoratori nelle osterie, borghesi ed intellettuali ai tavolini di eleganti caffè in stile liberty. A Ponza, invece, tutti si davano appuntamento al Tripoli – “Se beccàmo ar Tripoli”, dicono oggi i turisti romani-: il giovane dandy figlio dell’armatore, il facchino, il piccolo imprenditore, il marito d’a bona cristiana, l’impiegato, il commerciante. Spaccato di una società composita, di un’economia vivace e abbastanza diversificata.
Silverio Corvisieri descrive la situazione socio-economica di Ponza ai primi del Novecento con supporto di dati ben contestualizzati.
L’isola dispone di una flotta di prim’ordine in continua crescita; si incrementa il numero delle barche, aumenta il tonnellaggio. Il porto è insufficiente ad ospitarle, il sindaco Giovanni Coppa ne chiede l’ampliamento, accompagna la relazione con parole d’orgoglio: “I velieri ponzesi esercitano il commercio per conto proprio, cioè con capitale proprio, in tutti i porti della Sardegna, dominando il commercio di quelle piazze con un movimento di milioni.”
Pochi armatori detengono la proprietà dei velieri di grande stazza; sotto di loro, un nutrito esercito di padroni di gozzi e, alla base della piramide, una folta schiera di pescatori. Ricchezze e fatiche non si distribuiscono omogeneamente all’interno della piramide: le prime si concentrano nelle mani di pochi, al vertice; le fatiche si depositano in basso, sull’ampia base di lavoratori.
Per molti le condizioni di vita sono difficili; le famiglie sono numerose, l’isola è, per parecchi dei suoi figli, povera di risorse e di prospettive. Nel primo decennio del secolo si contano ben 1441 emigranti, pari a un terzo della popolazione isolana.
I giovani partono col desiderio di tornare, stipati in una valigia di cartone pochi stracci e tanti sogni di arricchimento facile e veloce ’nterr’a ’Merica…
Tra loro c’era anche mio nonno Aniello, nato a Ponza nel 1890, arrivato a Ellis Island nel 1913 sulla nave Stampalia; la sua valigia però era di legno, la costruì e levigò con cura nella bottega dell’amico Vittorio Scotti. Tornò a Ponza qualche anno dopo la fine della guerra.
Ringrazio Luigi Di Monaco per avermi concesso tempo, pazienza, ricordi, fotografie. Ringrazio e ricordo con gratitudine e stima immense i ponzesi che ho consultato per le mie ricerche: generosi, modesti, rigorosissimi, disinteressati. Hanno fornito testimonianze scevre da sensazionalismi, da polemiche, da letture ideologiche.
Del pari, ringrazio Vincenzo Conte per le foto d’archivio e Milena per il sorriso con cui accompagna il primo cappuccino delle mie giornate ponzesi.
Milena
I dati che ho raccolto sinora – attraverso le ricerche sull’appriezzo, sullo stracquo, sul confino – confermano il modello di una società complessa, con una forte presenza borghese. Sin dalla sua nascita, due secoli e mezzo orsono. Ma questa è un’altra storia; una storia tutta da raccontare.