Fanno un’arte dall’alba a notte fonda, chiacchierano, discutono, si sfottono, in bilico tra il litigio e lo scherzo.
Fanno un’arte, le sculture di Laura Pagliai e gli angoli di Ponza, gli straordinari scorci panoramici che si colgono dal Giardino Botanico sulla collina della Madonna.
” Io sono il modello, tu fammi da sfondo; mi stai bene, io monocromo e tu così colorata, lo sfondo azzurro del cielo dà risalto al mio palloncino rosso”: l’omino se la tira, Ponza abbozza paziente.
“Il colore della cupola della chiesa mi si intona”, l’omino continua a pavoneggiarsi.
“Se non ti stai zitto ti schiatto il palloncino”, Ponza ribatte.
“Sposta ‘sta casarella abusiva, io la notte sono abituato a guardare tutta la volta celeste e tu mi togli la visuale di una costellazione!” ordina il Calzone Muto.
L’omino va a rinfrescarsi sopra lo stagno di ninfee, l’Araucuraria stende i suoi rami generosi e gli promette che un giorno o l’altro gli racconterà come ci è finita, sul Belvedere.
Ponza si diverte a dialogare con gli artisti, sa ascoltarli, gli dedica tempo, si mette in gioco. Purchè non si fermino agli aspetti pittoreschi e superficiali, alle immagini stereotipate, alle furbizie. Ponza li ascolta, civetta con loro, chiede di essere guardata attraverso i loro occhi.
Gli occhi di Murat Onol, colpito dal contrasto tra gli angoli pittoreschi e curati da isola alla moda e il muro scrostato della chiesa.
Gli occhi di Charlotte Menin, la capacità di evocare un mondo di relazioni con quattro scarpe vecchie e alcune sedie arrugginite.
Gli occhi di Lee Hyun e la sua sensibilità tutta orientale per le forme.
Gli occhi di tutti gli artisti delle due edizioni de Lo Stracquo che hanno dialogato, in modo autentico e proficuo, con la natura e la storia di Ponza.
Gli occhi di Laura Pagliai, oggi.
L’appuntamento, imperdibile, da fissare con mail o per telefono, è al Giardino Botanico di Ponza.