Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Ernesto Prudente (1928-2012) ma la sua voce non si è spenta. Pubblichiamo uno dei suoi racconti: Federico e il maiale.
Federico aveva lasciato Ponza pochi anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale trasferendosi, a seguito del padre, negli Stati Uniti. Non si fermò a New York come la maggior parte dei ponzesi, che hanno formato una colonia di migliaia e migliaia di isolani; sempre accompagnato dal padre, proseguì per la West Virginia, uno stato che richiedeva tanta manodopera. Trovò lavoro sin dal primo giorno e lavorò anche durante gli anni di guerra perchè, non essendo ancora cittadino americano, non prese parte alle vicende belliche.
Finita la guerra, i genitori lo spinsero a tornare a Ponza con la speranza che si invaghisse di una ragazza locale e mettesse su famiglia. (….)
A Ponza, Federico trovò sulla banchina zia Filumena. Baci, abbracci e centinaia di domande sui familiari in America. Federico chiedeva informazioni sulle persone che ancora ricordava e non mancò di aggiornarsi su Amedeo, un suo vecchio e caro compagno con il quale, pur avendo qualche anno in più, aveva bighellonato e lavorato prima di trasferirsi in America.
<<Ha fennute i j pe mare. Mò s’è mise a fa u barbiere. Tene a puteche vicine u purtone i Pascarelle>> disse zia Filumena.
E a matine dope, verso le undici, Federico, vestito a festa, si presenta sulla porta del salone del suo vecchio amico. Federico ricordava che Amedeo era arguto e ironico e che aveva sempre la risposta pronta.
Per evitare di essere fucilato Federico, con accento furastiere, sparò per primo:
<<Amedè, te staje facenne viecchie e nun te ricuorde cchiu d’i cumpagne i na vota>>.
Amedeo posò il pettine e le forbici sulla mensola, si girò per squadrare l’interlocutore di cui non aveva afferrato il timbro della voce. Lo guardò e lo rimirò dalla testa ai piedi mentre il suo cervello scrutava nel passato. Era certo, dall’abbigliamento, che fosse un americano. Ma chi?
Mentre Amedeo fantasticava mille pensieri e chiedeva scusa al cliente per la pausa imprevista, Federico gli disse:
<<T’u diceve sempe ca, ampresse, sariste addeventate zelluso, E accussì è state. E’ perze tutt’i capille. Uarda a me, tenghe na capigliatura comm’a chelle i nu lione>>.
Amedeo, non riuscendo a inquadrarlo, gli disse:
<<Assettate, famme fennì stu taglie i capille, nun parlà cchiu e je te diche chi sì. Na cosa sola, però, tu m’e dicere: i quale parte i Ponza sì?>>
E l’altro, subito:
<<I coppe i Scuotte>>.
Allora Amedeo, senza pensarci doje vote:
<<Tu sì Federico, chillu piezze i mmerde i Federico>>.
Federico si alzò e si abbracciarono. Nella mente di Federico passarono, come un fulmine, le tante e tante giornate che aveva trascorso con Amedeo. Insieme aprirono le pagine di quel vecchio diario dove erano disegnate, come nei fumetti, la loro giovniezza e la loro gioventù.
Si lasciarono, con l’impegno di rivedersi, quando già la campana dell’orologio della piazza aveva battuto i dodici rintocchi. (segue)