Cinquanta miglia tra Ponza e Procida: Enrico Potere

Il capitano Enrico Potere, procidano, non ha mai perso i contatti con i compagni di scuola di Ponza e Ventotene. Ha lavorato per undici anni sulle imbarcazioni del Ministero dell’Ambiente, Sesto Settore Difesa Mare ossia il settore addetto ai controlli sullo stato delle acque marine; particolarmente intensi i controlli sul parco marino di Ventotene e Santo Stefano. “E’ un parco marino gestito direttamente dallo Stato mentre altri, come il Regno di Nettuno che ingloba Ischia e Procida, dipendono dalle Regioni. Nel caso dei parchi statali il controllo è molto severo; noi ogni settimana trascorrevamo un paio di giorni tra Ponza e Ventotene, controllavamo lo stato delle acque e le imbarcazioni”,  ricorda.

Ponza è il luogo in cui sbocciò l’amore tra Enrico e la sua futura moglie, procidana; entrambi erano ospiti di Antonio Romano Milord, loro compagno di scuola.

  • Capitano, i ragazzi di Ponza e di Ventotene hanno vissuto un’esperienza formativa straordinaria, l’Istituto Nautico di Procida ha una storia di secoli.
    – Ai nostri tempi accoglieva 550 studenti.
    Ne sei sicuro? Una scuola superiore prevalentemente maschile in un’isola di quattro chilometri quadrati con poco più di diecimila abitanti non può avere una popolazione studentesca così numerosa…
    – Invece l’Istituto Nautico di Procida la aveva. C’erano sei sezioni e le classi erano quelle di una volta, con ventotto alunni! A Procida, se non avevi il libretto di navigazione, nessuna ragazza ti prendeva in considerazione. La quarta E, che accoglieva gli alunni provenienti dalla scuola professionale, quindi anche i ponzesi e i ventotenesi, era una classe speciale.
  • Intendi dire che era una classe di serie B?
    – Sì, ma poi si studiava forte e ne sono usciti grandi capitani; l’amico Milord è anche armatore. Si studiava non solo sui libri, si faceva molta pratica; se il motore di un’imbarcazione si guastava, lo smontavano e lo portavano nell’officina della scuola. C’erano tanti insegnanti tecnico-pratici che avevano trascorso la vita sulle navi. Ad aprile molti tra noi si imbarcavano e completavano la formazione sul campo. 

– Ai tuoi tempi, dopo il diploma si trovava subito un’occupazione?
-Io a diciotto anni avevo già il patentino; oggi l’inserimento è meno immediato. Ai miei tempi l’agenzia Cosulich reclutava il personale a Procida per le petroliere delle Sette Sorelle; un dirigente della società, il capitano Scarel, aveva casa a Procida, conosceva tutti, individuava i giovani capaci e li assumeva. Tramite la Cosulich ogni mese arrivavano a Procida stipendi per un miliardo e settecento milioni. 

Enrico Potere racconta un’isola con una gloriosa tradizione marinara, con benessere diffuso  ma anche con sacche di povertà; le isole vicine -Ischia, Ponza, Ventotene- che ancora non avevano conosciuto lo sviluppo turistico, avevano una situazione economica decisamente peggiore.
– I marittimi guadagnavano bene e godevano di prestigio sociale ma sull’isola c’erano famiglie che avevano difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena; la mattina presto attendevano che i pescherecci scutuliassero le reti e raccoglievano le alici che cadevano a terra. Oggi i nostri nipoti considerano una prelibatezza le freselle inzuppate nell’acqua di cottura dei fagioli; allora, su alcune tavole quelle freselle erano il primo piatto, perchè di fagioli ce n’erano ben pochi! Alcuni dei ragazzi che venivano da Ponza e da Ventotene portavano giacchette dalle maniche troppo lunghe che dovevano essere state dei padri, degli zii; noi riconoscevamo i segni di condizioni familiari modeste e le rispettavamo. Vedi questa foto scattata sotto al carcere? C’è una cerimonia, tutti indossano la divisa o il vestito dei giorni di festa. Siamo nel pieno dell’inverno ma i bambini indossano i calzoncini corti: quello era l’unico vestito buono, lo indossavamo in inverno e in estate, con il gelo e con il caldo. Insomma, molti dei nostri compagni ritrovavano a Procida la povertà a cui erano abituati, non si sentivano fuori posto, non correvano il rischio di essere snobbati. E a tutti, procidani, ponzesi, ventotenesi il Nautico offriva la prospettiva di miglioramento economico e sociale, di un lavoro ben remunerato e ben considerato.

Negli anni tra i Settanta e gli Ottanta il coinvolgimento politico è forte, comincia con l’occupazione delle scuole. Enrico ricorda:
– Nel 1978 noi, i ponzesi e i ventotenesi occupammo il Nautico per ottenere che la sede della scuola professionale fosse riparata: ci pioveva dentro. Posso affermare senza ombra di dubbio che l’apporto dei ponzesi e dei ventotenesi fu determinante. Un’altra volta facemmo un’occupazione di tre giorni affinchè a Ischia fosse istituita una sezione del Nautico.

Procida non è solo un istituto nautico storico e accogliente. Enrico Potere si sofferma sul carcere, sull’economia, sull’organizzazione sociale; le foto d’epoca che corredano questa nostra chiacchierata sono sue.
– Io sono nato a Terra Murata, vicino al Carcere. La mattina dovevamo uscire presto di casa perchè alle otto i carcerati venivano portati a coltivare i campi e le guardie sbarravano  la strada. Però il carcere era una voce significativa dell’economia isolana. A Procida si parlano tre lingue: c’è il napoletano, legato alla presenza del carcere. Alla Chiaiolella si sente l’influsso dell’ischitano perchè molti procidani di quella zona raggiungevano Ischia Ponte col gozzo e coltivavano le terre. Giù alla Marina c’è il pugliese, riconoscibile in espressioni quali crè, biscrè (domani, dopodomani); i pugliesi raggiungevano Procida con le loro navi, trasbordavano la merce sulle nostre e lasciavano ai procidani il compito di trasportarle nei paesi lontani; non erano grandi navigatori, i pugliesi!

  • Le donne procidane si trovavano ad amministrare gli stipendi dei mariti marittimi che, nel complesso, costituivano un’ingente quantità di danaro. Grazie alle donne nacque una banca popolare che emetteva buoni, acquistava case e svolgeva opera di assistenza; la banca si è poi evoluta nel fondo di solidarietà Pio Monte dei Marinai. La solidarietà tra la gente di mare era molto forte, non solo quando si trattava di aiutare le famiglie di marinai rimaste prive di sussistenza per la malattia o la morte del capofamiglia. Ancora oggi, se arriva la chiamata per un imbarco a un marittimo che è già occupato, si attiva il passaparola e, in breve, il posto di lavoro va a uno di noi.
  • Procida non è solo terra di naviganti ma anche di costruttori di navi: giù al porto ci sono locali lunghi trenta, quaranta metri in cui, in passato, si costruivano barche e golette. Si partiva da un disegno in “scala reale”, cioè in scala 1:1. Le golette procidane solcavano gli oceani, doppiavano Capo Horn. E i marinai procidani li trovavi ovunque; quando io navigavo, in qualunque parte del mondo mi trovassi, se tramite VHF si domandava “Ci sono procidani in zona?” arrivavano subito risposte affermative. Quando imbarcava un paesano, era una festa: arrivava portando le lettere che i nostri familiari gli avevano consegnato, quelle belle lettere nelle buste dai bordi colorati che ancora conservo. Bisognava vincere l’impulso di aprirle tutte insieme, bisognava prima  disporle in ordine cronologico e poi leggerle. 

Capitano, hai un ricordo da regalare ai tuoi vecchi compagni di scuola che ti leggeranno?
– Sì certo, un ricordo in carne e ossa. Però dovete aspettare qualche giorno…

continua

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