‘A Palettiata (1)

Amelia aveva da poco compiuto 18 anni ed era bella come il sole. Due stupendi occhi blù in un viso d’angelo, incorniciato da meravigliosi capelli biondi su corpo praticamente perfetto e proporzionato in ogni particolare. L’essere bionda, cosa rarissima a Ponza rendeva la sua bellezza ancor più preziosa. Abitava con i genitori e due fratelli Giuseppe e Salvatore sui Conti, in una casa con due cupole e un grande cortile sempre candido di calce.

La sua famiglia non era certo di quelle benestanti. Il padre Antonio era un contadino con un po’ di terra vicino casa e un po’ ai Faraglioni, dove coltivava insieme ai figli un vigneto di modeste dimensioni ma ben esposto a mezzogiorno  che produceva un vino tra i più rinomati dell’isola. Nella vigna c’era anche una cantina scavata nella roccia che serviva anche per il ricovero degli attrezzi e – alla bisogna – come alloggio di fortuna. Nel podere c’era anche un’altra piccola grotta che fungeva da stalla per l’asino Camillo.  Antonio, come molti ponzesi di allora, possedeva ‘na lanzetella con la quale,  nei pochi spazi che gli lasciava il lavoro dei campi, andava a pescare sotto costa con i nassielli, integrando così sia la dieta alimentare che il magro reddito della campagna.

Insomma, si tirava la cinghia con i denti, come tanti Ponza, nei primi anni del ‘900.

  • “Antò, marito mio – ripeteva Cuncetta, ad ogni occasione – Amelia  ormai è pronta pe’  se marità. Ce v’o curredo e pure qualcosa pe’ dote”.
  • “A dote e figliame è a bellezza e po pretendere ‘o meglio partito. – rispondeva invariabilmente Antonio – Chi a vo’ sadda piglià, accussì, ch’e zuoccole e ca cammisa.”
  • Si vabbuò. So chiacchiere Antò, pecchè io forse nun ero bella? Eppure mammete, se mettette a fa pazza che vuleve per forza a dote, si no Antoniuccio suo nun asceva da casa.  Tu si scudato Antò? – attaccava Cuncetta – E’ tu che diciste? Niente, manco na parola e Chella povera mamma mia s’avetta mpignà a rotta n’coppe i Guarini pe’ farmi a dote i mille lire che pe’ forza vuleva mamma toia. Adda sbatte addo se trova!
  • Si Cuncè. È vero! – ribatteva Antonio – ma mo i tiempi so’ cagnate. Ste cose nun esistono cchiù. A dote?? cose antiche. E po’ lascia perde’ a mamma che ormai è passata o’ munno a verità.
  • E llà adda sbatte, dinte o fuoco eterno dell’inferno, adda pagà tutte i lacrime meie e i mamma mia…vuleva mille lire i dote!

Queste scenette, si ripetevano quasi tutti i giorni da quando Amelia aveva compiuto i 18 anni. Per mamma Cuncetta, il matrimonio della figlia  era diventato quasi un’ossessione e non perdeva mai occasione per tornare sull’argomento col marito.

La ragazza ci soffriva un po’, ma non più di tanto. In fondo lei al matrimonio non ci pensava affatto. O meglio non pensava a quel tipo di matrimonio combinato dalle famiglie, in  cui lei doveva solo dire di si a quello che i genitori avevano deciso per lei.

Mai avrebbe ceduto, mai avrebbe sposato una persona che non amava. Il suo cuore aveva già un padrone e  Amelia viveva in quello stato di sospensione dalla realtà proprio di tutti gli einnamorati. Teneve ‘o core ‘into ‘o zucchero per Gaetanino.

E non riusciva a percepire, materializzare i pericoli per il suo futuro che quei discorsi ripetuti dei suoi genitori contenevano. Il suo amore per Gaetanino era così grande che non poteva certo essere minacciato da stupide questioni di dote.

Gaetano Detoma, detto Gaetanino era un bel ragazzo altro robusto, con inconsueti – per Ponza –  occhi azzurri e un pagliaro di capelli ricci castano chiari, quasi biondi.  Forse un misterioso ritorno di antico sangue normanno visto che il nonno paterno era originario di Altamura in Puglia, arrivato a Ponza in domicilio coatto, forse, per reati più politici che comuni.

Di un paio d’anni più grande di Amelia, Gaetanino stava diventando un bravo fabbro, seguendo con impegno l’arte paterna. Erano cresciuti insieme lui e Amelia. Abitavano vicino e le loro famiglie erano molto unite. Amelia era attirata da Gaetanino, che come tutti i maschi, pensava solo a giocare con i suoi coetanei. Per stare sempre insieme a Gaetanino partecipava a tutti giochi che facevano i maschi compreso le terribili palettiate: guerre  per bande di ragazzi dove le armi erano costituite da proiettili ricavati da pale di fichi d’india piene di spine. Queste venivano tagliate a pezzi in modo da poter essere lanciate con forza contro l’avversario, anche ad una certa distanza. C’erano alcuni ragazzi che avevano una mira infallibile.Essere colpiti da uno di quei “proiettili” spinosi non era affatto piacevole.

 

Lei aveva 15 anni quando si scambiarono il primo bacio. Accadde un giorno quando una  pioggia improvvisa e violenta  li sorprese mentre, insieme alle rispettive famiglie,   tornavano da una gita ai Faraglioni, dove avevamo passato insieme la domenica.

Ci fu un fuggi fuggi generale il gruppo si sparpagliò alla ricerca di un riparo. Amelia e Gaetanino si rifugiarono da soli in una grotticella, poco più grande di una  zeppegna, una piccola rientranza nella roccia, che si trovava nei paraggi e che conoscevano. E lì complice la pioggia, che in certi casi è ruffiana come la luna e le stelle, iniziò la loro storia d’amore. Ma l’amore vero lo fecero in una bella giornata di maggio dell’anno dopo, su un prato di viole, al riparo di una ginestra e con Palmarola sullo sfondo.  L’aria intorno era impregnata dall’odore intenso delle ginestre in fiore, che penetrava nelle narici di Amelia mentre assaporava il piacere sublime di diventare pienamente donna; la donna di Gaetanino. Quel giorno si giurarono che nulla e nessuno li avrebbe più separati. Si  sarebbero sposati.

A  Gaetanino  della dote non importava nulla. Se i suoi non fossero stati d’accordo Gaetanino era deciso ad agire contro il loro parere. Aveva un mestiere e sarebbe stato in grado di mantenere la sua bella moglie. Ma intanto era arrivata la cartolina blu e Gaetanino  prima doveva assolvere agli obblighi di leva, dopo si sarebbe dichiarato alla famiglia di lei e si sarebbero sposati.

Alla notizia della imminente partenza,  Amelia si dispiacque, ma se ne fece una ragione. I  28 mesi di  servizio nella Regia Marina erano lunghi ma sarebbero passati e alla fine il suo sogno d’amore finalmente realizzato. Non aveva dubbi. Nulla e nessuno poteva separarli. Si trattava solo di aspettare poco più d due anni.

Gaetanino invece era preoccupato. Sentiva che durante la sua assenza qualcosa di brutto poteva anche succedere,  a suo modo di vedere 28 mesi erano lunghi da passare.

Nonostante che Amelia per la sua bellezza fosse la donna più desiderata dell’isola, stranamente non era la più corteggiata. Era circondata un’involontaria aura di albagia nonostante fosse una ragazza semplice, di buoni sentimenti e senza grilli per la testa.  Forse perchè la sua bellezza esagerata la poneva – suo malgrado – su un piedistallo e scoraggiava tantissimi ammiratori a farsi avanti.  Quest’ultima pezzo del ragionamento, tranquillizzò in parte l’animo agitato del giovanotto che comunque fu costretto a partire militare.

Erano passati appena tre mesi dalla partenza di Gaetanino, quando in un brutto pomeriggio d’autunno si materializzarono le preoccupazioni di Gaetanino. Si presentò a casa ‘a cummara Dummetella : una vecchia ruffiana senza denti  che combinava matrimoni, quasi per mestiere.  Era portatrice di una proposta di matrimonio.

  • Dint’a sta’ casa è trasuta ‘a sciorta. Tenghe na’mbasciata per Amelia : ‘na guardia ‘e Pubblica Sicurezza, no’ belle giovane se chiamma Aldo se vo spusà a figlia vosta. Sule ca’ cammisa.Senza dote. –

Le parole che erano rivolte a Cuncetta,la madre, si abbatterono su Amelia come un uragano. Il cielo sembrò crollarle sulla testa. La mamma  a cui  la notizia faceva sicuramente piacere, comprese il dramma della figliola e prese tempo.

    – Vabbuò cummà vi ringrazio p’a bona nova ch’avite purtate a chesta casa. Ne parle stasera co’ mariteme e po’ ve faccio sapè ‘a risposta.  

La ruffiana  si congedò promettendo di tornare per la risposta.

FINE PRIMA PARTE

(continua)

FRANCO SCHIANO

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