DECAMERINO Giorno n.6 – La Cavriuola di Ponza – Novella tratta dal Decameron di G. Boccaccio

DECAMERON,SECONDA GIORNATA – NOVELLA N. 6

Seppi per la prima volta di questa Novella del Boccaccio in cui si parla di Ponza, leggendo tanti anni fa l’opera di Luigi Sandolo “Ponza nel suo passato trimillenario” che riporta questa informazione. Ne parla anche Mons. Dies nella sua guida “Ponza perla di Roma”. Questa in cui si parla di Ponza è
una delle cento novelle del Decameron, per la precisione la novella sesta della seconda giornata, narrata da Emilia, una dei dieci componenti della brigata giovanile che si allontanò da Firenze, per scampare alla peste del 1348.
Il titolo della novella è:

Madama Beritola, trovata con due caprioli su un’isola, avendo perso due figli, se ne va in Lunigiana. Uno dei figli si unisce con la figlia del suo signore ed è messo in prigione. Quando la Sicilia si ribella a re Carlo, la madre ritrova il figlio, che sposa la figlia del suo signore, e ritrova anche il fratello e tutti ritornano in ricchezza.

Dopo che Fiammetta aveva raccontata la divertente storia di Andreuccio, Emilia, ricevuto l’ordine dalla regina, incominciò col considerare che era sempre gradevole, sia per coloro che vivevano nella felicità che per gli sventurati, ascoltare i vari movimenti della fortuna, perchè rendeva i primi più attenti e consolava i secondi.

Proseguì dicendo che dopo la morte di Federico II, imperatore del regno delle due Sicilie, che comprendeva tutta l’Italia meridionale, fu incoronato Manfredi. Egli stimò grandemente un nobile napoletano chiamato Arrighetto Capece, che aveva sposato una nobildonna, anch’essa napoletana, di nome Beritola Caracciolo, molto bella e gentile.

Arrighetto, che era governatore della Sicilia, informato dello sbarco di re Carlo d’Angiò a Benevento, dello spostarsi del re, dopo la vittoria e l’uccisione di Manfredi, verso la Sicilia, fu catturato dai francesi mentre si preparava a fuggire.

La moglie, non sapendo che fine aveva fatto, lasciata ogni cosa, insieme col figlio, Giuffredi, povera e gravida, fuggì a Lipari, su una barchetta. Lì partorì un altro figlio maschio, che chiamò lo Scacciato, e, insieme con i figli e una balia, si imbarcò per ritornare a Napoli, dai suoi parenti.

Ma le cose andarono diversamente. Il vento spinse la barca all’isola di Ponza, in una piccola insenatura.  Mentre la nobildonna, sbarcata, si era appartata in un luogo solitario a piangere la sua sventura, nel porticciolo giunse una galea di corsari che catturò i figli e la balia.

Quando la donna ritornò sulla spiaggia per rivedere i figli, non trovò nessuno, guardando verso il mare vide la galea che si allontanava, portandosi dietro la barchetta e capì che aveva perduto anche i figli, oltre al marito

Per il dolore della perdita, svenne sulla spiaggia.

Quando riprese le forze, a lungo andò in giro, cercando i figli e invocando il loro nome.

Venuta la notte, spaventata, si allontanò dalla spiaggia e si rifugiò nella caverna dove, di solito, andava a piangere. Passata la notte, a mattinata inoltrata, poiché il giorno prima non aveva mangiato, si mise a raccogliere un po’ di erbe da mangiare.

Dopo mangiato, mentre piangeva, vide una capriola entrare in una caverna e dopo poco uscirne.

Incuriosita entrò e vide due caprioli, appena nati, che le sembrarono la cosa più bella e più dolce del mondo, e, non essendosi ancora asciugato il latte dal seno, per il suo parto recente, pose i caprioli al petto.

Gli animaletti succhiarono come se avessero succhiato dalla madre.

La gentildonna, avendo trovato la compagnia della capriola e dei suoi figlioletti, nutrendosi di erbe e bevendo l’acqua, pur ricordando con sofferenza i figli, il marito e la vita di prima, si era rassegnata a vivere e a morire in quel luogo, come un animale selvatico.

Un bel giorno, giunse colà una navicella pisana, su cui era un signore chiamato Corrado dei marchesi Malaspina, con sua moglie. Essi, dopo essere andati in pellegrinaggio nei luoghi sacri del regno di Puglia, se ne tornavano a casa.

Mentre i pisani esploravano l’isola, i cani di Corrado cominciarono ad inseguire i due caprioli che pascolavano, i quali, fuggendo, si rifugiarono nella caverna dove si trovava Beritola. La donna, afferrato un bastone, cercò di scacciare i cani, frattanto giunsero Corrado e la moglie, che, vedendola così magra, bruna e pelosa, molto si meravigliarono.

La donna raccontò loro tutte le sue sventure.

Corrado, che conosceva molto bene Arrighetto Capece, ne ebbe pietà e si offerse di portarla a casa sua dove l’avrebbe trattata come una sorella. Sua moglie l’assistette con grande cura, la fece vestire con i suoi abiti, le diede da mangiare e, infine, dopo molte insistenze, la convinse ad andare con loro in Lunigiana, con i due caprioli e mamma capriola.

Venuto il buon tempo, partirono tutti, giunsero alla foce della Magra, dove sbarcarono e proseguirono per raggiungere i castelli dei Malaspina, nella Lunigiana.

Qui madama Beritola, cui fu dato il soprannome di “Capriola,” rimase come damigella della donna di Corrado, tenendo con sé gli animali.

Frattanto i corsari che avevano catturato i figli di Beritola, sbarcati a Genova, divisero tra loro la preda.

A Guasparino Doria toccò la balia con i due figli della dama, che egli tenne nella sua casa come servi.

La nutrice, dopo aver molto pianto per la perdita della padrona, da donna saggia e prudente, preferì dire che i bambini erano figli suoi, non rivelandone l’origine, per proteggerli dai pericoli, sperando che, mutata la fortuna, potessero ritornare nelle condizioni di prima..

Chiamò il primo non Giuffredi ma Giannotto di Procida, spiegandogli che era pericoloso se l’avessero riconosciuto. Rimasero così, mal vestiti e mal calzati, al servizio dei Malaspina per circa due anni.

A sedici anni Giannotto, molto più coraggioso di quanto conveniva ad un servo, lasciò il servizio di Guasparino e si imbarcò sulle galee che andavano ad Alessandria.

Dopo tre o quattro anni, divenuto un giovane forte e bello, avendo sentito che suo padre era ancora vivo ed era tenuto prigioniero da re Carlo, girovagando, non sperando più nella fortuna, giunse in Lunigiana.

Colà, per caso, divenne una delle guardie di Corrado Malaspina, al cui servizio era sua madre, ma non si riconobbero, tanto l’età li aveva cambiati.

Frattanto, una delle figlie del signore, di nome Spina, rimasta vedova, ritornò alla casa paterna.

La donna aveva sedici anni ed era molto bella, come vide Giannotto se ne innamorò, ricambiata.

I due tennero nascosto il loro amore per alcuni mesi. Ma un giorno, passeggiando per un bosco ricco di alberi, lasciata la compagnia, si appartarono in un luogo pieno d’erba e di fiori e si abbandonarono ai giochi d’amore. Dopo un lungo spazio di tempo, che ai due sembrò brevissimo, furono sorpresi dai genitori di lei.

Corrado, adirato, senza parlare, li fece legare e portare al castello, minacciando di farli morire.

La madre, comprese le intenzioni del marito, lo pregò di non volere, in vecchiaia, diventare un omicida, macchiandosi del sangue di un servo, e di trovare un altro modo per fargliela pagare.

Con le sue preghiere riuscì a calmarlo e Corrado decise che fossero imprigionati in due luoghi diversi, dove, ben sorvegliati, fosse dato loro poco cibo, in attesa delle sue decisioni.

Era passato un anno da quando Giannotto e la Spina erano stati imprigionati, senza che Corrado decidesse il loro destino, quando Pietro III d’Aragona riconquistò la Sicilia, togliendola a Carlo d’Angiò.

La cosa rallegrò moltissimo Corrado che era ghibellino.

La notizia rattristò molto Giannotto, che, sospirando, disse al carceriere, che a niente gli serviva che la Sicilia fosse ritornata agli Aragonesi, sebbene l’avesse desiderato per anni, dato che era in prigione.

Il carceriere, incuriosito, lo interrogò e seppe che il giovane era figlio di Arrighetto Capece, che si chiamava Giuffredi e non Giannotto e che era un nobile siciliano.

Il buon uomo, senza sentir più niente, raccontò, immediatamente, tutto a Corrado che, a sua volta, domandò a madama Beritola  se aveva avuto da Arrighetto un figlio di nome Giuffredi.

La donna, piangendo, rispose che di figli ne aveva avuti due e il maggiore, se era ancora vivo, si chiamava così ed aveva ventidue anni.

Udendo ciò, Corrado comprese di aver sbagliato e decise di dare la figlia in moglie al giovane.

Chiamato, in segreto, Giannotto, convinto da molti indizi che il giovane era veramente il figlio di Arrighetto Capece, gli disse “ Giannotto, tu sai quale grave offesa mi arrecasti, approfittandoti di mia figlia, mentre io ti avevo accolto al mio servizio e ti avevo sempre trattato amichevolmente. Ora che ho saputo che sei figlio di un gentiluomo e di una gentildonna, voglio porre fine alle tue sofferenze e salvare il tuo onore e il mio.

Tu sai che la Spina, la quale compromettesti con una sconvenevole amicizia, è vedova ed ha una buona dote. Purchè tu lo voglia, io sono disposto a darla a te in moglie, in tal modo tu diventerai per me come un figlio e vivrai con lei”.

La prigione aveva macerato le carni del giovane, ma non aveva piegato la generosità del suo animo e l’amore che provava per la donna.

Sebbene desiderasse fortemente ciò che gli veniva proposto, pure orgogliosamente rispose “ Corrado, né desiderio di potere, né desiderio di denaro furono causa di tradimento da parte mia. Amai tua figlia e l’amerò sempre perché la stimo degna del mio amore e se mi comportai con lei poco onestamente, commisi quel peccato per l’ardore della giovinezza. Se i vecchi si ricordassero di essere stati giovani sarebbero più comprensivi. Quello che tu mi offri l’ho sempre desiderato e se potevo minimamente sperare, te lo avrei chiesto già da molto tempo. Ora che avevo perso ogni speranza, mi giunge ancora più gradito. Se non sei convinto non darmi false speranze e fammi ritornare in prigione. Sappi che qualsiasi cosa farai, amerò sempre la Spina e ti rispetterò sempre”.

Corrado apprezzò molto quelle parole e stimò e tenne caro ancora di più il giovane, lo baciò e lo abbraccio. Fece venire la figlia che, in prigione, era diventata magra, pallida e debole, che quasi non si riconosceva più, e, alla sua presenza, i giovani si scambiarono la promessa di matrimonio.

Senza dir nulla per molti giorni, sembrandogli il momento giusto per far felici le due madri, chiamò sua moglie e la “ Capriola” e disse alla donna che voleva farle riavere il suo figlio maggiore, che era il marito di una delle sue figlie. Poi, rivolto alla moglie, disse che voleva donarle un genero.

Frattanto giunsero i giovani, elegantemente vestiti, e Corrado comunicò a Giuffredi che gli avrebbe fatto ritrovare la madre.

L’incontro avvenne con grande festa, riconoscendo nel giovane i tratti fanciulleschi del figlio, senza parlare, madama Beritola lo abbracciò e ricadde, quasi morta tra le sue braccia.

Il giovane, stupito perché l’aveva vista tante volte in quella casa senza mai riconoscerla, pure conobbe l’odore materno e piangendo, teneramente, l’abbracciò.

La “Capriola”, riprese le forze con l’aiuto dei presenti, riabbracciò il figlio con molte lacrime e parole dolci. Dopo alcuni giorni dall’annuncio del matrimonio, Giuffredi chiese al signore di aiutarlo a ritrovare il fratello che era, come servo, in casa di Gasparino Doria, il quale aveva preso, insieme con la balia, dai corsari.

Lo pregò, inoltre, di mandare in Sicilia qualcuno che si informasse delle condizioni del paese e chiedesse se Arrighetto, suo padre era vivo o morto e, se era vivo, si adoprasse per farlo ritornare da loro.

La richiesta piacque a Corrado che, immediatamente, si attivò.

Mandò a Genova, da messer Gasparino, una persona che gli chiedesse la consegna dello Scacciato e della balia, narrandogli ciò che Corrado aveva fatto.

Messer Gasparino, per maggiore sicurezza, interrogò la balia; la donna, che non aveva più paura, avendo saputo che la Sicilia si era ribellata e che Arrighetto era vivo, raccontò tutta la verità.

Il signore, confrontando le due storie, trovandole corrispondenti, da uomo astutissimo qual’era, si vergognò del modo meschino con cui aveva trattato il giovane, e, per farsi perdonare, poiché aveva una bella figlioletta di quasi undici anni, gliela diede in moglie con grande dote.

Salito, poi, con la figlia, il giovane, la balia e l’ambasciatore su una nave ben armata, venne a Lerici ed andò al castello di Corrado, dove era pronta una festa grande.

Si può immaginare le gioia di tutti, quando si ritrovarono insieme.

Perché la felicità fosse completa, Dominedio volle che giungessero notizie anche di Arrighetto.

Infatti ritornò colui che era stato mandato in Sicilia e riferì che Arrighetto, tenuto prigioniero da re Carlo, quando era scoppiata la rivolta, era stato liberato dal popolo, che aveva assaltato le prigioni.

Come nemico di re Carlo, era stato fatto capitano per inseguire ed uccidere i francesi.

Per l’aiuto dato fu molto apprezzato da Pietro d’Aragona, che gli restituì i suoi beni e gli onori.

L’ambasciatore aggiunse che era stato ricevuto con grande riguardo da Arrighetto, felicissimo di ricevere notizie della moglie e del figlio, di cui non aveva saputo più niente.

Madama Beritola e Giuffredi non smettevano più di ringraziare Corrado e la moglie.

Poi, rivolti a messer Guasparino, la cui disponibilità giungeva imprevista, si dissero certissimi che Arrighetto gli sarebbe stato molto grato per la generosità dimostrata verso lo Scacciato.

Dopo di ciò, lieti mangiarono e si godettero la festa, che continuò per molti giorni.

Al termine, madama Beritola, Giuffredi e tutti gli altri, tra molte lacrime e abbracci, si imbarcarono e partirono. Col vento favorevole, rapidamente giunsero in Sicilia, dove furono accolti con indicibile gioia da Arrighetto.

E in Sicilia vissero per molto tempo, riconoscenti a Dio per il beneficio ricevuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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