Siamo al quattordicesimo giorno di questo nostro Decameron in tempo di Corona Virus – Oggi vi proponiamo un bel Racconto di Domenico Musco, tratto dalla raccolta “Racconti del porto”. Il libro è reperibile a Ponza presso la libreria Il Brigantino o l’edicola da Ricciolino, oppure rivolgendosi direttamente all’ASSOCIAZIONE CALA FELCI. BUONA LETTURA
LA FARINA E I FRANCESI
di Domenico Musco
Il porto borbonico di Ponza è cosa unica. Progettato per essere insieme piazza, corso e balconata, abbraccia le barche in entrata con la sua forma lunata, seguendo forse nel disegno di Winspeare la morfologia a forma di luna dell’isola maggiore del nostro arcipelago.
Il selciato del porto, con i suoi antichi basoli irregolari, ha visto passare nomi importanti della storia italiana, eroi risorgimentali di cui si conserva la memoria nella toponomastica cittadina (Corso Carlo Pisacane) e vip da tutto il mondo. In quanto piazza – non nella forma ma nella sostanza – raccoglie migliaia di parole da chi, giovani o meno, si fa tante vasche, ossia la distanza dall’inizio della balconata alla banca, percorsa avanti e indietro per vedere e farsi vedere, scambiando con chi ti cammina a fianco o chi sosta sulla balconata tante chiacchiere, utili o meno, per risolvere problemi di Ponza e del mondo.
Il porto sembra possedere un’anima, risuona di quanto ha visto e sentito e si percepisce la sua storia quando ci cammini sopra, in silenzio, quando sembra che si possano ancora udire quelle voci.
Di storie e di cambiamenti questo porto conserva tanti ricordi, come quando non circolavano macchine e tutto si trasportava a spalla. La merce per gli approvvigionamenti degli isolani arrivava con il bastimento o con i due postali, il Falerno e l’isola di Ponza. La stessa merce veniva scaricata con ‘U Big’, un antenato di gru moderna fatto di legno cime e carrucole. La merce si scaricava dalla prua delle navi (non c’era allora il portellone per le macchine e furgoni ma solo una passerella per i passeggeri) su un barcone che da sotto la nave la trasportava al moletto, proprio dove adesso c’è il pontile Settemari .
Il barcone era di proprietà di Moscardino – Vincenzo Di Fazio – che fungeva da Caronte tra la nave e il moletto. La merce veniva portata con dei carretti quasi tutta in un deposito, situato a metà banchina Di Fazio, mentre quella deperibile andava subito a destinazione. Si portava tutto a spalla e il mercoledì le operazioni di scarico duravano più a lungo, perché la nave veniva da Napoli e la merce era abbondante. Chi aveva l’incarico di consegnare la merce a domicilio era la cooperativa degli scaricatori di cui era capo Giuseppe Costanzo detto Baffone. Il gruppo era formato dai suoi fratelli e da qualche avventizio che collaborava. Grande era la fatica degli uomini mentre i carretti facevano lo slalom tra le bitte di pietra a colonna, piantate al centro della strada dove
i bastimenti ormeggiavano. Non sempre la merce veniva immagazzinata: spesso all’arrivo del bastimento, che ormeggiava alla punta del molo o a metà banchina, si creavano cataste di merci che dovevano essere in seguito consegnata.
Un giorno, ed é storia vera, erano stati scaricati quintali di sacchi di farina che avevano creato tanti mucchi alla punta del molo e mentre in tanti erano impegnati a scaricare il bastimento si trovarono a passare due turisti francesi. Uno di loro, dovendo con urgenza soddisfare un bisogno corporale, si nascose dietro una di quelle
cataste di sacchi di farina e liberò la vescica. In quella, lo vide però Peppe Baffone che subito lo apostrofò aspramente, gridando:
– Ma che cavolo stai facendo?
Il francese, colto in fragrante e non conoscendo l’italiano rispose tremante:
– Je ne comprends pas! Je ne comprends pas…….
E Baffone di rimando:
– E per via che non compri il pane pisci ‘ncopp’ alla farina?
Domenico Musco