PUNTI DI VISTA – Racconto di Rita Bosso – parte I

 

 

 

 

Tratto dalla raccolta RACCONTI DEL PORTO

PUNTI DI VISTA

 PARTE  I

Rita Bosso

 

– Salvatore, che sorpresa! Non sapevo che ti interessasse la storia.
– Prufesso’ buonasera. Veramente a me interessa un refolo di vento dopo una giornata d’afa. Salvatore ‘u Ravustaro si sventolò ostentatamente con l’opuscolo della proloco.
– Pure ieri sera faceva caldo ma non ti ho visto da queste parti. Peccato, ti sei perso una comunicazione davvero interessante.
– Sicuramente, prufesso’. Di cosa si è parlato?
– Gli ipogei di epoca romana. Paolo D’Anna è stato davvero brillante. Documentato e brillante. Dopodomani sera ci sarà un mio intervento sul confino politico. Ti aspetto, Salvatore, mi raccomando.
– Sarà un piacere, prufesso’.

Biagio il poeta, con una bottiglia di birra in mano, si sporse dalla fila posteriore.

– Paolo D’Anna? Me ne ha parlato molto bene un mio amico di Roma che qualche anno fa ha assistito a una sua conferenza sugli ipogei. Credo che lo abbiate conosciuto, prufesso’. Si chiama Romolo.
– Romolo? Non credo di conoscerlo, Biagio.

– E pure il fratello di Romolo aveva assistito alle conferenze sugli ipogei di Paolo D’Anna, qualche anno addietro. Lui lo conoscete sicuramente, prufesso’: Remo, ve lo ricordate?
– Biagio carissimo, hai sempre voglia di scherzare.

– E non ti perdere il convegno di giovedì, Sasà. Presenzierà Tutankamon in persona. Roba fresca, di giornata, è vero prufesso’?
Biagio il poeta sollevò la bottiglia di birra, poi si mise a sfogliare l’opuscolo della proloco che ogni spettatore aveva trovato sulla propria sedia. Sotto alla sedia c’erano una bottiglia di birra vuota e due piene.
– Cazzarola, il libretto sulla sedia come in chiesa! A che ora esce la messa? E come mai tutta questa gente? Chi predica, questa sera?

– Biagio, per piacere – rise il Professore.

– Sta la Paglia, Robertina Paglia, te la ricordi? È diventata commercialista ma ha la passione per la storia locale.- Salvatore ‘u Ravustaro parlava sottovoce.
– Cazzarola, ‘a Pagliarella! E chi se la scorda Robertina Pagliarella, si vedeva che era ‘na guagliona scetata. Trascorreva qui tutte le estati; poi si è sposata, adesso torna una volta ogni tanto. Ah, mo’ capisco perché sta tutta questa gente. Robertina Pagliarella racconta la storia a modo suo, non fa il solito riassunto dei soliti libri che oramai ognuno conosce a memoria. Magari racconta strunzate come tutti gli altri però ti dà l’idea che questo scoglio, ai tempi di una volta, fosse il centro del mondo.

Il professore chinò la testa, imbarazzato. Le sedie sulla piazzola del lanternino erano già tutte occupate e cominciavano a riempirsi i muretti laterali. Con Paolo D’Anna si erano riempite le due prime file; lui ne avrebbe riempite altrettante, forse addirittura sarebbe arrivato a tre file. Qualche giorno prima  Giovanni Senese, preside in pensione, aveva parlato del porto borbonico, lo stesso tema che stasera avrebbe affrontato la Paglia: uditorio attento ed interessato ma, dal punto di vista quantitativo, risultato immutato. Solite due file. E  solite facce. Davanti a tutti stavano schierate le autorità locali: un rappresentante dell’amministrazione comunale che organizzava il ciclo di incontri, il maresciallo dei carabinieri, il capo della guardia costiera; in genere facevano l’atto di presenza e se la svignavano appena si abbassavano le luci. In genere l’assessore di turno porgeva il saluto a nome del sindaco, impossibilitato a presenziare per sopraggiunti  improrogabili impegni; Anna Baldi, assessore alla cultura, si limitava a presenziare e a sventolarsi con l’opuscolo.

 

Roberta Paglia prese posto a un tavolino da bar, di fronte al pubblico, salutò senza troppi convenevoli, annunciò che avrebbe letto il paragrafo sulle opere borboniche a pagina otto dell’opuscolo della proloco, quello che ogni spettatore aveva trovato sulla sedia, quello che ogni turista riceveva al suo arrivo, in edizione bilingue.
-Stile semplice e diretto da chiacchierata tra amici, opuscolo della proloco anziché letture specialistiche e impegnative; è questo il segreto, Salvatore, dopotutto i turisti stanno in vacanza, gli indigeni cercano un po’ di frescura e di riposo dopo una giornata di lavoro- commentò a bassa voce il professore, poi aprì l’opuscolo a pagina otto.

Roberta  Paglia finì la lettura, inforcò gli occhiali e commentò:
-Il testo che abbiamo letto è stato realizzato dalla Soprintendenza ai beni storici ed archeologici della regione. Ottima sintesi. In accordo con tutti i testi storici disponibili, da quelli di metà Ottocento ai più recenti. La descrizione coincide con il vissuto mio e di molti di voi, miei coetanei.
Sul telone alle sue spalle scorsero tre o quattro diapositive in bianco e nero dei piroscafi di una cinquantina d’anni fa che entravano in porto e, all’epoca, ormeggiavano in testa al molo. Dal pubblico si levarono voci: riconoscevano le navi, ne ricordavano i nomi: il Mergellina, l’Equa, il Falerno …
-Quanti viaggi su queste navi, eh? E quante emozioni, quanti mal di mare in tre ore di navigazione- commentò la Paglia, ruffiana.
-Tre ore. Tanto dura la navigazione oggi, quarant’anni dopo. Se il traghetto parte. Quando parte.  E il mal di mare è assicurato, con gli stagnarielli che sono in servizio. – La voce di Biagio il poeta planò sul buio.
-Scendevamo dalla passerella in legno, in fila indiana, e l’isola  ci accoglieva con un abbraccio. Guardate: si presenta come un ferro di cavallo, come un anfiteatro: il molo, poi una quinta scenica di fronte con i monumenti-simbolo: la chiesa, il municipio …. Il fulcro dell’edificio borbonico  si trova di fronte a voi e ha un nome: è il Nuovo Casamento, come abbiamo appena letto.  Anche il molo ha un nome, ospita costruzioni con nomi e funzioni specifici: la lanterna, la casa del governatore, i magazzini. L’ala destra del complesso un nome neanche ce l’ha, è in un certo senso una pertinenza del porto, una successione di case e di magazzini pressoché identici, senza alcun elemento peculiare. Sapete, io oramai vengo di rado qui ma non riesco a rinunciare a quest’immagine … – continuò Roberta Paglia.
La luce del faro, ruotando, scandiva il tempo; la Paglia attese un paio di tic, quanto bastava a raccogliere i ricordi e le emozioni e, prima che qualcuno attaccasse con le nostalgie:
-Adesso vi chiedo una cortesia. Alzatevi e ruotate la sedia di novanta gradi. In senso orario. Proviamo ad adottare un diverso punto di vista.
Si alzarono tutti e in silenzio, rapidamente, ognuno ruotò la propria sedia. La Paglia rimase al suo posto.

-Di fronte a noi, la porzione occidentale del complesso edificato dai Borbone; la porzione senza nome. Giusto per capirci, mi riferirò ad essa come alla “parte non portuale del porto”. A livello del mare, come abbiamo appena letto, quaranta magazzini a servizio della pesca, ciascuno costituito da tre  stanzoni. Centoventi stanze. Quando il porto viene progettato l’isola ha poche centinaia di abitanti, dediti all’agricoltura e alla pesca. Poi arrivano i torresi che si stabiliscono a Le Forna. Presumibilmente l’isola dispone di una ventina di barche da pesca.
Il puntatore laser della Paglia disegnava cerchietti luminosi sulla parete dell’edificio; i vecchi magazzini di pesca erano adesso ristorantini, negozietti alla moda.
-Con l’edificazione del complesso borbonico gli abitanti, giunti in più ondate migratorie, dediti prevalentemente all’agricoltura e, da aprile ad ottobre, alla pesca, avranno a disposizione un porto e centoventi locali, a  costo zero. Una grandiosa opera di beneficenza, non vi pare? Tanto più che le altre isole del regno- penso a Capri, penso a Ischia, a Procida- benché molto più popolate, un porto se lo sognano.

Il puntatore laser di Roberta Paglia disegnò una linea orizzontale.
-Passiamo al secondo livello, quello delle botteghe e civili abitazioni. Quaranta unità abitative, sovrapposte ai magazzini del primo livello. Altre quaranta unità sono al terzo e ultimo livello. Ottanta appartamenti, la maggior parte destinata ad abitazioni. Oggi la definiremmo un’operazione di edilizia residenziale destinata ad attrarre almeno una sessantina di famiglie, all’incirca tre, quattrocento persone. Gli autoctoni continuano a vivere nelle loro terre, nelle loro grotte, lontane da questa area residenziale.
L’assessore Baldi sobbalzò, poi cominciò a messaggiare; lo schermo verde del suo telefonino, in prima fila, galleggiava nel buio.
continua

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